Animalisti estremisti e le solite storie su Forza Nuova – l’importante è parlarne

ESTREMISMI – Dal Palio di Siena alle meduse: la guerra santa degli animalisti. Attaccano la sperimentazione medica sulle cavie, combattono gli allevatori, difendono i diritti dei grilli e delle farfalle. Gli animalisti si sono radicalizzati, e lottano contro ogni forma di discriminazione animale. In nome della libertà di tutti gli esseri viventi. La guerra contro gli “specisti”, che considerano gli animali inferiori all’uomo, è sempre più violenta. Tra insulti sul web, liti in famiglia e scontri di piazza

28 agosto 2015 – A Recommone qualche giorno fa, sotto gli occhi di chi scrive c’è stata un’accesa discussione tra una donna e una famiglia vicina d’ombrellone. Il tema del litigio era originale: il diverso parere sul destino di una medusa (specie Pelagia noctiluca) che aveva ustionato un bambino sulla coscia. Il padre dopo l’attacco era riuscito a prendere l’essere planctonico con il secchiello e l’aveva gettato sulla terraferma. Notata la scena, una signora in bikini si precipitava verso la riva, cominciando a inveire contro l’uccisore. «Le meduse hanno diritto a vivere come tutti gli animali! Siete degli assassini! Vergognatevi!». Qualcuno l’ha applaudita, altri tifavano per il capofamiglia che difendeva a spada tratta il delitto appena compiuto («cretina, le meduse non hanno nemmeno il cervello!»), il pargolo continuava a urlare dal dolore contorcendosi sul lettino.

La zuffa estiva è metafora perfetta di un animalismo radicale che sta prendendo piede ovunque, e della diffusione capillare della guerra bestiale combattuta da animalisti duri e puri e coloro che non vogliono piegarsi alle tesi del filosofo Peter Singer, l’australiano autore della bibbia dei vegani (titolo: “Liberazione animale”) in cui si attacca senza se e senza ma lo “specismo”, considerato inaccettabile razzismo che gli esseri umani hanno nei confronti delle altre specie viventi. Il conflitto è arrivato in spiaggia, passando dai social network, e ormai tracima in battaglie dentro casa tra mariti e mogli e – come accaduto per il palio di Siena – tra le opposte fazioni in piazza.

«Sono singoli fanatici e piccoli gruppi radicali», tranquillizzano gli animalisti meno accesi, ma in cuor loro sanno anche loro che la minoranza è sempre più compatta e forte. Se molti di questi gruppi sono legati alla destra estrema (il capo dell’associazione Animalisti 100 per cento è vicino ai fascisti di Forza Nuova) e fioriscono le sigle anarchico-animaliste, le proteste contro le violenze sugli animali hanno scavallato i temi tradizionali della caccia, delle pellicce, delle inutili mattanze di foche, e ai maltrattamenti sulle cavie da laboratorio e alle crudeltà perpetrate nei canili-lager, s’è aggiunto uno sdegno contro qualsiasi pratica (commerciale o ludica) che limiti la libertà degli animali.

Indignazione che a volte mette sullo stesso piano tutti gli specisti, coloro che si rifiutano di mettere bestie e persone sullo stesso piano. Per non parlare degli umanisti più convinti, che si scandalizzano al contrario dell’enorme clamore mediatico di casi come quello della morte dell’orsa Daniza in Trentino (deceduta per complicanze dopo essere stata narcotizzata) e dell’uccisione da parte di un dentista americano del vecchio leone Cecil. Simbolo di un paese, lo Zimbabwe, che grazie al felino è finito per settimane sulle prime pagine dei giornali di tutto il globo. Disinteressati, ça va sans dire, che in Zimbabwe l’aspettativa di vita sia tra le più basse del mondo (59 anni, dati dello World Health Statistics 2015), e che ogni giorno – come ha denunciato l’Unicef – veda morire circa 100 bambini sotto i cinque anni a causa di fame e Aids. «Il mondo è sgomento per la sorte di Jericho, fratello di Cecil», ricordava il ventesimo lancio dell’Ansa dedicato alla big story dell’estate. Tornando in Italia, siamo in pieno “Clash of Civilizations”, e gli scontri tra specisti e animalisti fanatici sono all’ordine del giorno.

Due anni fa una ragazza affetta da gravi malattie genetiche, Caterina Simonsen, fu subissata di ingiurie («magari fosse morta a nove anni, un essere vivente di merda in meno e più animali su questo pianeta!», il tenore degli improperi su Facebook) per aver difeso la sperimentazione medica sulle cavie (gli insultatori hanno vinto il demenziale “Premio Hitler” messo in palio ogni anno da Federfauna, nel 2013 l’aveva vinto l’ex ministro azzurro Michela Brambilla), mentre quattro ricercatori dell’Università di Milano sono finiti nel mirino del gruppo “Nemesi animale” per le loro sperimentazioni sugli animali, con tanto di foto con nome, cognome e numeri di telefono affissi sui muri di mezza città.

Se le battaglie contro zoo, circhi e atrocità degli allevamenti intensivi sono patrimonio di ogni animalista, centinaia di associazioni più o meno organizzate hanno compiuto un salto ideologico, e i loro adepti lottano contro qualsiasi discriminazione e azione che puzzi di “specismo”.

A Padova a luglio 15 camion carichi di mangimi sono stati dati alle fiamme e rivendicati con una scritta «No Ogm, no allevamenti», un blitz simile a quello dell’Animal Liberation Front con cui vennero distrutti mesi fa i furgoni di una ditta di latticini in Toscana. «Solidarietà ai militanti dell’Alf: le loro azioni non sono terrorismo, ma atti concreti di lotta per la liberazione animale. Un’azienda casearia è una fabbrica di dolore e morte», scrisse in una nota il movimento Centopercentoanimalisti. Il fondatore Paolo Mocavero, candidato nel 1999 alle comunali per Forza Nuova, è uno dei duri e puri che ha capito come fare notizia, e ha ordinato ai suoi di attaccare giostre e fiere locali. «Il palio delle oche di Lacchiarella è l’ennesima forma di maltrattamento nei confronti di animali inadatti a gareggiare, correndo spaventati dagli schiamazzi del pubblico per un chilometro e mezzo. È un simbolo di arretratezza civile e culturale», ha intimato il gruppo, che qualche tempo addietro organizzò un assalto contro un’azienda veneta colpevole, secondo loro, di favorire l’accoppiamento forzato tra cani per produrre razze pregiate. Una strategia mediaticamente vincente che ormai ha conquistato anche associazioni meno radicali. L’Enpa due settimane fa si è scatenata contro il palio delle rane di San Casciano Bagni, paesino demoniaco dove le bestiole «vengono messe su carriole spinte dai contradaioli lungo le vie della città.

È una sistemazione tutt’altro che idonea a una specie animale, si tratta di un maltrattamento insieme fisico e psicologico!». Stessa grancassa contro la fiera di Porcia, vicino a Pordenone, dove un asinello alla fine della giornata viene fatto salire sopra un campanile. Anche questa pratica considerata «vergognosa». Se la Lav considera «inaccettabile» il ritorno della festa del grillo di Firenze («un orrore che non può essere attenuato nemmeno dal sub-emendamento presentato in consiglio comunale che obbliga la liberazione del grillo dopo tre giorni», spiegano i dirigenti), la Lida se l’è presa con la corsa delle galline di Grugliasco. Vicende che fanno sorridere gli specisti, ma che mostrano in realtà come le distanze con parte importante del nuovo animalismo stiano crescendo a dismisura. Non solo nelle scelte alimentari, ma nell’approccio legale intorno ai diritti di cui gli animali devono o non devono godere. Secondo l’inventore del termine “specismo”, lo psicologo Richard D. Ryder, non va combattuto solo il razzismo e il sessismo, ma qualsiasi «pregiudizio o atteggiamento di prevenzione a favore degli interessi dei membri della propria specie e a sfavore di quelli dei membri di altre specie».

Una rivoluzione, in termini ideologici, che si sta diffondendo capillarmente in Occidente, dove gli animalisti s’erano concentrati sulla difesa di cani, gatti e altri pet da compagnia e contro la violenza nelle produzioni di indumenti. Con il boom del vegetarianesimo prima e della cultura vegana poi, negli ultimi due lustri il radicalismo alla Singer è diventato dominante, e sta contagiando centinaia di migliaia di persone. Le cui battaglie sono ormai mal viste da chi accorda agli umani uno status superiore e privilegiato. «Non distinguere gli uomini dagli altri esseri viventi è nefasto. Perché la morale riguarda solo gli esseri umani», ha attaccato il filosofo Fernando Savater tre anni fa, riprendendo le tesi di Immanuel Kant e decine di altri pensatori prima di lui. «I veri barbari sono coloro che non distinguono uomini e animali. Caligola che fece senatore un cavallo e uccise centinaia di persone che non apprezzava. Quello era un barbaro. Perché trattava gli uomini come gli animali e gli animali come gli uomini».

Con visioni così antitetiche non deve stupire, dunque, la virulenza lessicale con cui qualche giorno fa esponenti del Partito animalista europeo hanno infamato i contradaioli del Palio di Siena, né la rabbia dei ragazzi che lo scorso febbraio hanno dato degli «assassini» a un gruppo di esterrefatti contadini della Coldiretti che avevano portato le loro mucche da latte in piazza per denunciare l’indifferenza del governo davanti al declino del settore. Per un antispecista possedere e sfruttare un animale è un peccato mortale, anche se l’uomo ci fa solo formaggi e caciotte. Le fedi sono inconciliabili, le polemiche quotidiane. Le ultime risse in ordine di tempo hanno riguardato il milione di cinghiali che infestano le nostre campagne (i comuni li vorrebbero abbattere, gli animalisti vogliono proteggerli) e le nutrie della pianura padana, bestiole che scavando gallerie lungo gli argini dei fiumi rischiano ogni inverno di aumentare i pericoli di alluvioni. «Nessuno osi abbatterle», urlano in coro tutti gli animalisti, mentre dall’altra parte l’assessore alla Protezione civile della Provincia di Treviso, il leghista Mirco Lorenzon, ha proposto di mangiarle: «È un’ottima carne a chilometro zero, ricca di proteine e povera di colesterolo».

Chi sogna la libertà per tutti gli esseri viventi non può nemmeno accettare, come avvenuto l’anno passato, che a Firenze per le sfilate di Pitti Uomo venga realizzata un’opera in cui centinaia di farfalle volano in una (enorme) voliera, né – ovviamente – che l’artista Hermann Nitsch possa organizzare mostre con immagini di animali squartati. Un furore antispecista che, al netto della difesa di insetti e meduse, rischia talvolta di tramutarsi anche in ridicolo. Come quando, nel luglio di un anno fa, decine di migliaia di animalisti attaccarono sui social Steven Spielberg, reo di aver ucciso un triceratopo (la foto del dinosauro meccanico morto risaliva ai tempi di “Jurassic Park”); o come lo scorso Natale a Macerata, quando un ippopotamo del circo Orfei liberato da un gruppo animalista fu investito due minuti dopo da un’auto sulla provinciale.
Chi vincerà è difficile dirlo: di certo la guerra bestiale non finirà presto.

Fonte: Emiliano Fittipaldi dell’Espresso

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